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venerdì 21 luglio 2017

Libano: offensiva contro i terroristi, dramma dei profughi siriani

 AsiaNews – 20 luglio 2017
 Un territorio di 350 chilometri quadrati, dei quali 250 in Libano e 100 in Siria è il nuovo teatro dello lotta per lo sradicamento del terrorismo islamico di Al Nusra in Medio-Oriente. Per l’esercito libanese è “finalmente giunta l’ora di chiudere il fascicolo dei disordini a Jerud Arsal” nell’estrema Bekaa, nel nord-est del Libano al confine con la Siria.
L’avanzata dei terroristi islamici che intendevano creare una continuità  territoriale di Daesh e Al Nusra da Aleppo, Idleb lungo il nord del Libano fino ad arrivare a Tripoli sul Mediterraneo è fallita, grazie alla resistenza della popolazione, dell’esercito libanese e di Hezbollah. Alcune forze finanziate da Paesi esteri hanno sempre voluto presentare l’invasione di Daesh e Al Nusra con Hezbollah come una guerra interconfessionale. Ma i crimini commessi dai terroristi islamici, fra l’altro lo sgozzamento e il rapimento di soldati di varie confessioni religiose ha subito svelato il loro vero volto.
Ieri l’esercito libanese ha fatto ingresso nei campi profughi siriani con l’intenzione di salvare i civili dagli scontri attesi per i prossimi giorni. La vicenda ha dato luogo a una campagna diffamatoria contro i siriani in generale con forti connotazioni razziali e la chiara intensione di far scoppiare scontri fra libanesi e siriani presenti nel Paese dei cedri (ormai quasi 2 milioni di profughi siriani in Libano su una popolazione di 3 milioni e mezzo di libanesi).
Per disinnescare la mina il presidente della Repubblica Michel Aoun è intervenuto ieri pubblicamente per definire “inaccettabile” la demonizzazione dei siriani come tali, fermando il crescendo delle dichiarazioni anti-siriane e ripuntando la bussola sul vero problema, ossia sulla presenza dei fondamentalisti islamici che da anni trafficano attraverso il confine con la Siria, tentando allo stesso tempo di invadere il nord del Libano e creare un principato di Daesh nella seconda citta libanese, Tripoli e accerchiando cosi la regione alauita con capoluogo Latakia.
http://www.asianews.it/notizie-it/Ore-contate-per-Al-Nusra-di-Arsal-e-Kalamun:-%E2%80%9CArrendersi-o-morire%E2%80%9D-41339.html

Libano, il dramma dei profughi siriani


Terrasanta. net  20 luglio 2017
di Fulvio Scaglione
Con 6 milioni e 200 mila abitanti e un milione e mezzo di rifugiati dalla Siria, il Paese dei cedri non ce la fa più. Il peso dei profughi crea una miscela esplosiva. Lo dicono le cronache degli ultimi giorni.
Era evidente che la situazione del Libano fosse potenzialmente esplosiva. Un Paese con 6 milioni e 200 mila abitanti e un milione e mezzo di rifugiati dalla Siria poteva tirare avanti solo grazie a uno di quei prodigi che ne costellano la storia, dai tempi dei fenici ai giorni nostri. Da anni si tirava avanti a prezzo di due sacrifici complementari: quello della popolazione locale, che aveva comunque accolto i nuovi arrivati; e quello dei rifugiati stessi che, nella speranza di un rapido ritorno a casa, si erano adattati a vivere nei campi sapendosi ben poco amati.   
Adesso il prodigio pare proprio esaurito. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è la morte di quattro siriani, tutti uomini, arrestati dall’esercito libanese durante un raid nei campi profughi dell’area di Arsal, una cittadina nei pressi del confine con la Siria che nel 2014 era stata occupata per pochi giorni dai miliziani dell’Isis. I militari andavano a caccia di terroristi, sono stati accolti da un lancio di granate e da alcuni kamikaze che, secondo le fonti non ufficiali hanno lasciato sul terreno dodici morti. A quel punto quattro giovani sono stati arrestati e sono rispuntati solo qualche giorno dopo: morti. Secondo i portavoce dell’esercito, per causa naturali. Secondo le organizzazioni umanitarie, corroborate da impressionanti fotografie diffuse da alcune testate, perché picchiati e torturati.   L’episodio, già atroce in sé, ha fatto saltare il coperchio a una situazione più che precaria. Su Facebook alcuni attivisti dei campi hanno creato una pagina per promuovere una manifestazione di protesta a Beirut. Subito dopo, una manifestazione uguale e contraria è stata convocata, a sostegno dell’esercito, da cittadini libanesi. La prospettiva di uno scontro di piazza era diventata concreta, così il governo ha proibito ogni manifestazione.   
 È ovvio, però, che si tratta di un cerotto. Dal punto di vista dei libanesi, la presenza dei profughi siriani è un dramma. Dall’inizio della guerra civile siriana il loro Paese ha subito decine di irruzioni e attentati da parte dello Stato islamico e di formazioni analoghe che, con ogni evidenza, hanno nei campi profughi informatori e complici. La Banca Mondiale, inoltre, ha calcolato che oltre 200 mila libanesi sono stati spinti nella povertà a causa dell’arrivo dei siriani che, per necessità, accettano anche lavori sottopagati. Sui libanesi, inoltre, agisce anche il ricordo dell’arrivo dei palestinesi. Accoglierli doveva essere una misura temporanea, invece oltre 500 mila di loro sono ancora in Libano. E proprio la presenza dei palestinesi, e le divisioni intorno alla loro causa, fu una delle scintille che accesero la lunga (1975-1990) e terribile guerra civile che quasi distrusse il Paese.    Anche per i siriani, ovviamente, dover vivere sotto le tende in Libano, mal sopportati e duramente controllati, è drammatico. E lo dimostra il fatto che dopo il raid dell’esercito libanese ad Arsal, quasi 500 di loro hanno riattraversato il confine e sono tornati in Siria, preferendo la patria in guerra a un’accoglienza che sa di prigionia. Sempre più si capisce, comunque, che anche i profughi possono essere usati come un’arma. E la destabilizzazione del Libano, da sempre, è un obiettivo che fa gola a molti.

martedì 18 luglio 2017

Siria, sei anni di guerra... (2°parte)

Seconda parte dell'intervento dell' Ambasciatore Michel Raimbaud alla Conferenza organizzata da «  Chrétiens d’Orient pour la paix »  
Traduzione dal francese di Gb.P. per OraproSiria

2/ La Siria vive in un'atmosfera di dopoguerra
Sul fronte delle operazioni militari: dopo la liberazione di Aleppo che è stata punto di riferimento e ha segnato gli spiriti nel mese di dicembre 2016, l'esercito siriano è ovunque all'offensiva sui fronti di Damasco, di Aleppo, a Homs, sul confine con la Giordania, nel deserto siriano. Nonostante le intimidazioni degli Stati Uniti, riconquista poco a poco il territorio nazionale. Anche se la guerra rischia di essere ancora lunga, l'evoluzione favorevole della "Battaglia del deserto" in corso, lascia presagire un'accelerazione dei progressi.
Ignorando le ingiunzioni e le minacce americane, l'esercito siriano ha fatto il suo congiungimento con le forze irachene di "Hachd Chaabi" al confine tra i due paesi, exploit che sembrava improbabile fino a pochi mesi fa. Questa ridefinizione dei confini Sykes-Picot tra Siria e Iraq è un fatto importantissimo, poiché significa la sconfitta ab initio dell' intesa ordita da Tel Aviv e presentata a Trump prima dei suoi viaggi in Arabia e in Israele , che proponeva una nuova base di cooperazione con gli Stati Uniti. Questo piano (defunto) ripreso tale e quale nei vertici di Riyad, prevedeva :
-Il riconoscimento da parte di Washington della sovranità di Israele sul Golan
-Il rifiuto di ogni presenza militare permanente dell'Iran in Syria
- l'inasprimento delle sanzioni contro Teheran a causa del suo "sostegno al terrorismo"
-L'aumento della pressione su Hezbollah
- Un impegno per impedire la creazione di un corridoio Iran - Iraq - Siria - Libano che possa dare all'Iran uno sbocco sul Mediterraneo.
Le molteplici provocazioni (un aereo, poi un drone siriano abbattuto dagli americani, bombardamenti qua e là, attacchi occasionali contro l'esercito siriano..) non cambieranno nulla, tanto che esse appaiono contro-producenti. Lungi dall'intimidire, questa lotta di retroguardia guidata da una potenza in declino (e quindi pericolosa) ha causato un irrigidimento di Mosca per quanto riguarda le condizioni future per la cooperazione tecnico-militare tra i russi e gli americani contro il terrorismo. Ed ha ispirato agli iraniani una grande "première" sotto forma di un missile sparato su Da'esh in Siria dal loro territorio.
Si potrebbe dire lo stesso delle "Forze Democratiche Siriane", che siano curde, o arabe e turkmene, che potrebbero fare un calcolo sbagliato cercando la creazione di un Kurdistan "introvabile" in Siria.
Sul piano politico-mediatico, la Siria sembra aver vinto. Le agenzie di propaganda e coloro che danno lezioni di morale hanno preteso e ancora rivendicano con l'aplomb dei truffatori, che un popolo unanime si erga in piedi contro il "dittatore" o il "tiranno assassino". Dal 2011, tuttavia, non è difficile da vedere, malgrado l'omertà, che la narrazione ufficiale semina ai quattro venti girandole di "false flag" (false bandiere) arma favorita dai terroristi democratici, dei cannibali moderati, dei rivoluzionari del circuito Elizabeth Arden e dei reverendi predicatori dell'Asse del Bene.
Le popolazioni votano sempre con i propri piedi quando ne hanno la possibilità, e questo tipo di scrutinio non necessita di un lungo spoglio. A poco a poco, mentre l'esercito riconquista il proprio territorio nazionale, coloro che ne hanno l'opportunità fuggono dalle zone ribelli e accolgono l'esercito siriano come liberatore.
Per anni era di moda in Francia, nella Navarra e altrove, ripetere come pappagalli che "Bashar se ne deve andare", che "Bashar non ha posto nel futuro della Siria": adesso, non si contano i pappagalli arroganti che sono scomparsi e che non hanno più alcun ruolo da svolgere nel futuro del proprio paese, mentre il loro capro espiatorio è sempre lì. E' che questo presidente, questo capro espiatorio è rimasto per molti, ed è diventato per molti altri, il simbolo della resistenza dello Stato e dell'attaccamento del popolo siriano al proprio modello di società tollerante.
3/ Diplomaticamente gli avvenimenti si stanno rimescolando
La solidità dell'alleanza tra la Siria e i suoi alleati (Hezbollah, Iran, Iraq, Russia, Cina) contrasta con lo sfaldamento della coalizione avversaria:
- Lo sfaldamento del blocco islamista (tra Arabia e la Turchia, tra Arabia e Qatar, la spaccatura all'interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo) è così evidente che parla da sé.
- Il ritiro graduale di Trump nel faccia a faccia con l'Arabia Saudita di Bin Salman e la sua preoccupazione di far pagare a caro prezzo a Riyadh (già centinaia di miliardi di dollari) il mantenimento di una finzione di alleanza per la vita o per la morte è abbastanza trasparente. Bisogna essere inesperti e approssimativi come Mohammed Bin Salman per non vedere che il contratto sicurezza in cambio di petrolio ha dato luogo ad un accordo armi contro dollaro. Allo stesso modo, le sue decisioni ambigue riguardo al Qatar, il suo comportamento ambiguo con i Curdi e la Turchia, non sono decisioni troppo rassicuranti per i diretti interessati. Possiamo usare a questo proposito le parole di qualche umorista : "è pericoloso avere gli Stati Uniti come nemici, ma è ancora due volte più pericoloso averli per amici”.
- La disaffezione tra l'Europa e gli Stati Uniti, evidenziata dal vertice NATO, ha già introdotto una forma di divisione atlantica, sulle stesse basi: "gli Europei vogliono la sicurezza a nostre spese; che ne paghino quindi il giusto prezzo".
- L'intervista accordata dal nuovo Presidente della Repubblica Macron a diversi giornali europei, e dedicata alla sua visione della futura politica della Francia, è stata descritta da molti come una inversione di 180 ° nel caso della Russia, della Siria e riguardo al presidente Bachar al Assad:
- Per Emmanuel Macron, la partenza di Bachar al Assad non sarebbe più un'ossessione. Non c'è un "successore legittimo " di Bachar al Assad. Il capo di stato siriano non è il nemico della Francia.
- L'unico nemico della Francia in Siria è Da'ech (ISIS): Abbiamo bisogno di una soluzione politica, con una tabella di marcia.
- Il Signor Macron ha rispetto per Vladimir Poutin e cerca di avviare una cooperazione con Mosca anche riguardo alla Siria.
- Il Presidente dice che vuole voltare pagina su un decennio di "logica neo-conservatrice" ...
III / Siria è ora a un bivio
1 / "La Siria Invicta" è il titolo di un sub-capitolo di "Tempesta sul Grande Medio Oriente", il mio libro di cui ho accennato sopra. Partecipando nel febbraio scorso a una conferenza a Damasco, avevo ipotizzato che se "la Siria vittoriosa" (questo era lo slogan scelto dagli organizzatori) non aveva ancora vinto, lo avrebbe fatto comunque. Essendo una mia ferma convinzione sin dall'inizio della crisi, sarebbe sbagliato che ci ripensassi, mentre si verificano cambiamenti radicali, in primo luogo militari e poi politici e diplomatici, dall'altro. I segnali ci sono tutti a indicare che la vittoria politica della Siria legale sembra acquisita. Questa prospettiva dovrebbe viaggiare di pari passo con la conferma del Presidente Assad al suo posto e con un "addio alle rivoluzioni arabe", la cui fiamma (si può esserne sicuri) sarà mantenuta ancora per un certo tempo nelle cancellerie occidentali e nei palazzi orientali.
Imbattuta, la Siria è tuttavia devastata. Lei sola conta circa 400.000 morti, senz'altro 15 milioni di rifugiati, sfollati ed esiliati, e 1,5 milioni di feriti con lesioni permanenti e altre gravi disabilità. Quasi due terzi del Paese sono in rovina, con danni stimati intorno a circa 1.300 miliardi di dollari, senza contare i perduranti effetti delle sanzioni, blocchi ed embarghi vari ...
Una questione s'impone: bisogna fermare la guerra? Secondo il parere di esperti russi, ben addentro alla discussione tenendo conto del coinvolgimento del loro Paese nel conflitto siriano, non esiste una soluzione militare alla crisi. Si dovrebbe garantire una soluzione politica attraverso il dialogo con i rappresentanti dell'opposizione, almeno con i più presentabili di loro. Secondo la direttrice delle ricerche del Centro Studi arabo islamico presso l'Accademia Russa delle Scienze, una de-escalation probabilmente consentirebbe il dispiegamento di forze di pace. Secondo Alexander Aksenyonok, membro del Consiglio russo per le Relazioni Estere, l'impegno "necessario" della Russia nelle questioni mediorientali ha avuto risultati positivi nel prevenire l'arrivo al potere a Damasco delle forze radicali. Ma ci potrebbero essere conseguenze negative, come ad esempio il rischio di una competizione militare tra Russia e Stati Uniti: da qui la necessità di mantenere aperti i canali diplomatici e di accettare anche grandi compromessi, come sedersi al tavolo con alcune organizzazioni che lì non sono veramente al loro posto. (Valdai Club, 27 e 28 febbraio 2017 a Mosca).
Questa opzione diplomatica è discutibile e viene discussa, date le esperienze della guerra in Siria. È vero, la guerra non può porre fine alla guerra e solo la diplomazia potrà far terminare la tragedia. Tuttavia, è chiaro che lo Stato siriano deve poter negoziare in posizione di relativa forza: l'evoluzione attualmente osservata non è il risultato di buone intenzioni, ma il risultato della aumentata potenza dell'opzione militare contro le provocazioni .
Il Medio Oriente non sarà mai più lo stesso. E così sarà per la Siria. Prima ancora del dopo guerra, la fine della guerra rischia di essere lontana. Pertanto è tempo di pensare:
- Al perseguimento del difficile dialogo politico che verrà avviato in occasione dei colloqui di Ginevra o di Astana. Con ogni probabilità, non sarà facile per coloro che hanno difeso il loro paese contro l'aggressione accettare le condizioni per discutere "diplomaticamente" con interlocutori che hanno voluto e cercato costantemente l'intervento straniero al fine di distruggere la Siria.
- All'immensa opera della ricostruzione del paese, delle sue infrastrutture, della sua economia, che sono state regredite di diversi decenni per il caos. La scelta dei partner si annuncia delicata.
- Alla riconciliazione della sua società (seriamente scossa nei suoi valori o nelle sue fondamenta), al proseguimento del lavoro discreto ma impressionante guidato dal governo, in particolare il ministero della riconciliazione nazionale. Esperienze come quelle dell'Algeria, serviranno come ispirazione.
- Al riapprendere come vivere insieme di tutte le forze vive, con particolare attenzione per i giovani che sono cresciuti durante la guerra, e che costituiscono sia il futuro della Siria ma anche un bacino di reclutamento per i gruppi terroristici.
- All'incentivo per il ritorno e il reinsediamento di milioni di sfollati, rifugiati, esuli: una questione chiave per il futuro del Paese.
Ma, questa sarà la mia conclusione, sul piano politico e diplomatico, la Francia, all'origine di tante decisioni ostili e devastanti contro la Siria (sanzioni, supporto alla ribellione armata, rottura delle relazioni diplomatiche, sostegno ai regimi islamisti e agli "amici della Siria") e che ha portato l'Europa nella sua scia, dovrebbe ammettere che ha un dovere di riparazione. Come ex diplomatico, posso solo sperare nel ritorno alla grande tradizione della Francia gollista, questa politica di dialogo, di apertura, di riconciliazione nei confronti di tutti gli altri partner della comunità delle nazioni, che ci ha resi orgogliosi, ma che è affondata nelle acque dell'atlantismo.
La priorità delle priorità per la Francia, stante le sue responsabilità, sarebbe quella di decidere la revoca unilaterale delle sanzioni che sono state imposte, in gran parte per sua iniziativa e sotto la sua pressione, al popolo siriano. Ma lo farà? Speriamo, senza crederci troppo, che il signor Macron alle parole faccia seguire i fatti in conformità ai suoi annunci d' effetto; nutriamo la speranza che le sue azioni almeno non contraddicano i suoi discorsi. Nell'atmosfera avvelenata che regna da tanti anni per colpa della nostra diplomazia, per riparare i danni servirà molto più di una dichiarazione.
Michel Raimbaud | 27 giugno 2017

lunedì 17 luglio 2017

Siria, sei anni di guerra... dopo l'incubo, i sogni o la realtà? (1)


Vogliamo proporvi l'intervento dell' ex ambasciatore Michel Raimbaud al convegno organizzato da "Chrétiens d’Orient pour la paix" il 27 giugno 2017 : egli vi dipinge il risultato terrificante di questa guerra che dura dall'inizio del 2011. 
Ci pare che l'autorevole diplomatico francese colga l'orizzonte globale in cui si colloca il conflitto e ne illustri senza infingimenti dinamiche e responsabilità. 
Qui la prima parte del testo da noi tradotto dal francese, il seguito domani. 
Grazie per la vostra attenzione
   Gb. P.
I / Un conflitto universale
Un brutto giorno del mese di marzo del 2011, fu dato il "calcio d'inizio" a questa interminabile guerra siriana che oggi è l'oggetto delle nostre riflessioni. Chi avrebbe potuto immaginare che questa guerra si sarebbe installata nella pubblica opinione con l'etichetta della cosiddetta "guerra dimenticata" tra un movimento popolare "democratico e pacifico" e un "regime massacratore", una buona causa da difendere da parte delle élites (di destra o di sinistra) che da vent'anni hanno cementato un comune consenso attorno a tutte le certezze morbide ereditate da un "neoconservatorismo" all'americana. L'adesione, spontanea o calcolata, ai "valori" veicolati da questo consenso, firmando la loro fedeltà (o la loro appartenenza) allo "Stato profondo", dà loro il diritto (ma dovremmo dire il privilegio) di parlare dalle antenne, dagli schermi e nei notiziari.
E' grazie a questa fede ideologica sommaria che il nostro mainstream si polarizza rapidamente sull'urgenza di "abbattere Bashar" e rovesciare "il regime siriano" adoperandosi (con un certo successo) per far condividere questa ossessione ad ampi settori della popolazione.
Nel paesaggio audiovisivo, intellettuale e politico, nascerà come per incanto un fronte compatto e senza remore che contribuirà a rendere irrilevanti i dissidenti dalla narrazione ufficiale. Il conflitto siriano sarà catalogato immediatamente come un episodio delle "primavere arabe", in linea con quelle di Tunisi, dell'Egitto, dello Yemen, della Libia, e una volta per tutte si decreterà che uno scenario come quello libico è ineluttabile anche per la Siria.
Un tempo si credeva che il lavaggio del cervello fosse appannaggio dei regimi totalitari: adesso, il conflitto in Siria, come prima la Libia, ha dato alle "grandi democrazie", compresa la nostra, l'opportunità di mostrare le proprie competenze in materia. Oscurando totalmente la condanna a morte di un popolo abbarbicato alla sovranità, all'integrità e all'indipendenza del proprio Paese, tacendo sulle distruzioni di massa, falsificando la realtà, è la resistenza stoica del popolo siriano che viene deliberatamente ignorata, l'immagine eroica di un esercito nazionale che sarà sfigurata: la negazione e il colpevole silenzio amplificano di molto ogni sofferenza.
Bisogna ben dirlo: l'impegno a deporre Bachar al Assad (che "non merita di essere sulla terra", ma sarebbe meglio "un metro sotto terra"), la volontà di distruggere (Bashar forse non sarà deposto, ma avremo distrutto la sua Siria, come osò dire di recente un avversario democratico "moderato") e la volontà di uccidere (siamo pronti a sacrificare i due terzi del popolo siriano, al fine di salvare l'ultimo terzo) non hanno poi scioccato un granché molte persone di questa parte del mondo durante questi anni di devastazione della legalità e della moralità internazionale. Malgrado le contraddizioni, le prove, le rivelazioni, le testimonianze, ci sono ancora dei fanatici o degli ingenui senza speranza, che ostinatamente difendono la tesi che la guerra in Siria sarebbe niente più che la lotta di un popolo in rivolta contro un regime oppressivo. Un episodio della "primavera araba" che è andato storto, ma non è detta l'ultima parola...
Tuttavia, quando è troppo è troppo. I ranghi dei fochisti e dei carbonai della " rivoluzione" alla fine saranno chiari. Quando si ha il naso immerso nelle rovine del caos creatore, se non si hanno gli occhi colmi di spavento davanti alla ferocia e la coscienza rivoltata di fronte alla gestione della barbarie jihadista, significa che si è scelto di chiudere gli occhi. Bisogna essere ciechi ed accontentarsi di analisi preconfezionate o di idee ricevute per non vedere nella tragedia siriana altro che un evento banalizzato dentro la sequenza epidemica di "primavere arabe" sparse. Bisogna avere un cervello scadente o particolarmente sempliciotto per negare per principio di inserire questa tragedia nel SUO VERO CONTESTO, che evidentemente si riferisce alle crisi ed alle guerre degli ultimi decenni. È quello di un'impresa geopolitica e geostrategica globale di destabilizzazione e di distruzione, ispirata, pianificata, annunciata e condotta dall'Impero sotto direzione américano-israeliana, utilizzando sistematicamente dei regimi asserviti e dei complici di circostanza (islamisti nella fattispecie) la cui agenda, per differente che sia, è compatibile nel breve e medio termine con quella dei padroni atlantici.
Visto attraverso la lente dei neo-cons che lo ispirano ormai dall'ultimo quarto di secolo, l'Occidente (l'America, Israele ed alleati europei) mira come sua vocazione a competere con l'Eurasia russo-cinese la padronanza del pianeta, e la decostruzione del mondo arabo musulmano che separa questi due insiemi è una condizione imposta dalla geopolitica. Per le forze islamiste radicali, la decomposizione degli Stati di questa "cintura verde musulmana" in entità su base etnica o confessionale è il prerequisito per la creazione di una poltiglia di Emirati, tappe incerte verso la rifondazione di uno Stato islamico basato sulla Sharia (legge coranica) o il ripristino del Califfato, un secolo dopo la sua abolizione. Per motivi storici, culturali, religiosi, politici e geopolitici, la Siria è il centro e l'epicentro di questo confronto il cui esito sarà cruciale per l'istituzione del futuro ordine mondiale in divenire.
In ogni caso, è difficile negare che le guerre di Siria (o le guerre in Siria) sono degenerate in un conflitto universale tra due campi, uno che ha dimostrato la sua forza e il secondo che si trova in completa disarticolazione:
- il campo della Siria legale e i suoi alleati (Iran, Hezbollah, Russia e Cina, e per estensione i paesi BRICS), ma anche di paesi come l'Algeria e sempre di più l'Iraq, le sue forze armate, Hachd al Chaabi (raggruppamento popolare), lo Yemen "legale" del Presidente Ali Abdallah Saleh e altre forze resistenti all'egemonia.
- Il campo avversario: regimi islamici (Turchia, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati del Golfo Persico), i terroristi e jihadisti nonché gruppi di miliziani, finanziati, armati, supportati da Israele e, purtroppo, dagli occidentali. Tutti questi avversari della Siria"legale" si consulteranno regolarmente come parte del gruppo "amici della Siria".


Questo scontro universale, che ha conosciuto in più di sei anni numerosi sviluppi, si può riassumere (ho provato a farne una descrizione nel mio libro "Tempesta sul grande Medio Oriente" pubblicato nel febbraio 2015, e poi a febbraio 2017) in una buona dozzina di conflitti uno più spetato dell'altro, mescolando l'odore di santità con l'odore del gas, le illuminazioni messianiste e le ambizioni strategiche, i riferimenti ai valori morali e i valori dei mercato, la guerra santa a sfondo religioso e la lotta profana per il potere politico.
1/ Sulla questione siriana propriamente detta:
1/ E' inizialmente una guerra per il potere, condotta dalla cosiddetta opposizione "democratica e pacifica" contro l'oppressione di un "regime assassino"
2/ Questa lotta interna diverrà rapidamente militare, trasformata dalla penna degli analisti in una "guerra civile", che non lo è affatto in quanto viene importata ...
3/ Infatti, il conflitto sarà internazionalizzato dall'intervento massiccio dei regimi sunniti radicali e di combattenti stranieri a fianco dell'opposizione (pesantemente) armata, poi per l'ingerenza ed il sostegno aperto degli Occidentali, diventando chiaramente una guerra di aggressione, che è crimine internazionale per eccellenza, secondo il Tribunale di Norimberga.
4/ Questa guerra costituirà di fatto un politicidio (che è contro un Stato ciò che l'omicidio è contro un essere umano) mirando a provocare l'implosione dello Stato-nazione siriano in mini-entità a base confessionale o etnica, conformemente ai piani israelo-americani. È l'obiettivo del Protocollo di Doha adottato sotto l'egida del Qatar nel novembre 2012 dalla Coalizione Nazionale siriana delle Forze dell'opposizione e della Rivoluzione.
2/ Sotto l'aspetto religioso:
5/ E' una guerra in nome dell'islam contro un "regime empio", sotto la bandiera della Jihad, "gestita con la ferocia e la barbarie", che è la strategia ufficiale dello Stato Islamico (Da'ech).
6/ riciclata come guerra santa dagli islamisti, la guerra di aggressione, quindi, verrà ben presto ridefinita dalla comunità internazionale come una guerra terroristica.
7/ E quindi genererà una ripresa della guerra globale contro il tal terrorismo, considerato (almeno a parole) come il nemico numero uno di tutti i paesi, una guerra destinata a servire come una foglia di fico per la guerra di aggressione contro la Siria.
8/ Un attacco dei radicali sunniti wahabiti (e simili) contro "l'asse sciita" che va da Teheran fino al Libano attraverso la Siria e l'Iraq, presentato dai wahhabiti e dei loro alleati come componente della lotta anti-terrorismo.
9/ Un'accanita guerra tra i due campi del radicalismo sunnita (Turchia e Qatar contro Arabia Saudita, Fratelli Musulmani contro wahabiti) per la gestione dell'Islam sunnita e dell'Islam.
3/ Dal punto di vista geopolitico :
10/ Una guerra per procura (proxi-war) tra l'Eurasia e l'Occidente atlantista
11/ Una guerra per l'energia, nella fattispecie per il gas
12/ Una guerra per l'interesse superiore di Israele, onnipresente nelle preoccupazioni americane e occidentali
13/ A coronamento di tutto, un risiko planetario giocato sulla "grande scacchiera" che ha come obiettivo il controllo del "Grande Medio Oriente" riaggiornato, la leadership nel mondo.
Il tributo di vite umane, il costo materiale e finanziario delle sole guerre siriane è terrificante, come il bilancio generale della "democratizzazione del Grande Medio Oriente" che dobbiamo a George W. Bush e ai suoi scagnozzi.
II/ Per legittima difesa, la Siria sta facendo valorosamente fronte alla guerra di aggressione
1/ La legittimità dello Stato siriano.
Membro delle Nazioni Unite, la Siria è uno stato indipendente e sovrano. Il suo regime è repubblicano in stile laico. Parlando di "regime siriano" per descrivere il suo governo, ovviamente si cerca di delegittimarlo, a dispetto di un principio generalmente dimenticato: mentre noi volentieri ricordiamo il diritto dei popoli all'autodeterminazione, spesso ci dimentichiamo del diritto degli Stati di decidere il loro sistema politico, senza alcuna interferenza straniera.
Secondo il diritto internazionale, il governo detiene il monopolio dell'uso legale della forza: questo deve essere ricordato a tutti coloro che sognavano di distruggere uno Stato recalcitrante, a coloro che volevano "ucciderlo politicamente", perché ha resistito ai loro obiettivi neocoloniali.
L'Esercito Arabo Siriano non è "l'esercito del regime alawita", ma un esercito nazionale di coscritti con chiamata alle armi. Esso ha il diritto assoluto di riconquistare o liberare qualsiasi parte del proprio territorio senza chiedere il permesso a nessuno. Ripristinando la sovranità dello Stato sul suolo nazionale, non fa altro che consentire allo Stato, di cui esso è uno degli organi legali, di esercitare il suo diritto di controllo del territorio. Non fa che affermare il diritto della Siria a preservare la sua sovranità, la sua integrità, la sua indipendenza.
Da oltre sei anni, un paese che non ha aggredito nessuno deve resistere a una guerra di aggressione che coinvolge in un modo o nell'altro (abitanti, militari, governi ...) più di cento membri delle Nazioni Unite, scontrandosi inoltre con un apparato internazionale e un'ONU tutt'altro che neutrale. La resistenza del "regime siriano" e dei suoi alleati ha comunque bloccato l'impresa della compagnia dei "neocon" e dei takfiristi, tanto che anche i suoi detrattori e nemici ammettono ormai (come l'ex ambasciatore americano a Damasco Robert Ford) che la Siria ha potenzialmente vinto.
   prima parte....   Testo in francese:  
http://arretsurinfo.ch/syrie-six-ans-de-guerre-apres-le-cauchemar-les-reves-ou-la-realite/

venerdì 14 luglio 2017

Kurdilandia, ovvero il paese artificiale

Scrive su MintPress Sarah Abed analizzando il ruolo che alcune fazioni kurde hanno giocato durante la storia: i Kurdi hanno aiutato le maggiori potenze a creare il caos in Medio Oriente - dalla rivolta kurda in Iraq negli anni '60 al conflitto in corso in Siria oggi.
Ancora oggi, essi si rivelano l'arma di USA e Israele per la destabilizzazione del Medio Oriente, in cui gli interessi petroliferi giocano un ruolo primario:


In questo quadro si comprendono le preoccupazioni espresse a Fides dal Vescovo di Hassakè mons Hindo :

Offensiva “autonomista” dei curdi a Hassaké. L'Arcivescovo Hindo: si sentono protetti dagli americani

I militanti e i miliziani che fanno capo al Partito Democratico Curdo (PYD), braccio siriano del Partiya Karkeren Kurdistan (PKK), hanno iniziato a realizzare nei fatti il loro intento – coltivato da anni - di creare una regione autonoma curda nella regione siriana di Jazira, che nei media curdi già viene indicata col nome curdo di Rojava.
Nella provincia siriana nord-orientale di Hassaké, l'auto-proclamata amministrazione autonoma di Rojava ha iniziato a implementare un sistema di tassazione locale per sovvenzionare i pubblici servizi della regione. Secondo quanto affermano i responsabili del progetto, le tasse saranno utilizzate per sostenere i servizi sanitari e educativi locali, per migliorare il sistema di sicurezza e anche per affermare con più forza nelle istituzioni e nella vita sociale i diritti delle donne. Il programma di tassazione prevede imposte per tutti i cittadini che hanno entrate mensili pari o superiori a 100mila lire siriane (circa 200 dollari), e quindi dovrebbe coinvolgere circa il 75 per cento della popolazione locale.
Oltre a cercare di imporre questo nuovo sistema di tasse” riferisce all'Agenzia Fides l'Arcivescovo siro cattolico Jacques Behnan Hindo "quelli del PYD hanno anche requisito e chiuso le scuole. Metà le hanno trasformate in caserme, e nelle altre hanno detto di voler introdurre nuovi programmi scolastici, che verranno realizzati in lingua curda. Tempo fa hanno provato anche a espropriare un terreno appartenente alla nostra Chiesa, ma lo hanno subito restituito, dopo che io avevo inviato lettere di denuncia sia alla Nunziatura che ad alcuni dei loro responsabili”.
Secondo l'Arcivescovo Hindo, che guida l'Arcieparchia siro cattolica di Hassaké-Nisibi, anche la regione di Jazira è coinvolta nella delicata e complicata partita geopolitica che si sta giocando in tutta la regione, e che ruota anche intorno alla 'questione curda': 
I militanti curdi del PYD” riferisce a Fides l'Arcivescovo Hindo “si sentono forti perché credono di avere l'appoggio degli USA. Io li ho messi in guardia: guardate, gli americani prima o poi se ne andranno, e voi vi troverete peggio di prima. Questi militanti sono collegati al PKK, che opera in Turchia, e dicono di aspirare soltanto a una maggiore autonomia locale, senza perseguire mire indipendentiste. Inoltre, sono nemici dei curdi di Masud Barzani, che in Iraq stanno invece marciando verso il referendum per proclamare la piena indipendenza del Kurdistan iracheno. Qui da noi, il progetto di una amministrazione autonoma sostenuto del PYD sembra andare avanti perché loro hanno le armi, ma in realtà non riscuote consensi neanche da parte degli altri curdi. Tanto meno da parte delle tribù musulmane e di noi cristiani. E non credo che sarà mai accettato dal governo di Damasco”.

martedì 11 luglio 2017

Perchè l'Occidente non potrà e non vorrà lasciare vivere in pace la Siria

Vi propongo la mia traduzione di un articolo di Reseau International che ho trovato interessante: per comprendere le ragioni dell'impegno della Russia verso la Siria e la sua posta in gioco in questo duello tra poteri di cui purtroppo non si vede apparire la fine.
  Gb.P.


di Marcus GODWYN (Regno Unito)
Per tutti coloro che si sono risvegliati e sono diventati consapevoli delle cose, o in altre parole, sono fuggiti dal pozzo di menzogne e lavaggio del cervello messo in atto dai media occidentali, la lunga resistenza che dura da sei anni del popolo siriano contro lo "Stato profondo" (neocon e agenzie governative varie, ndt) degli Stati Uniti e relativi proxy terroristici, ISIS, truppe di Al-Qaeda, ecc., è stata profondamente tragica, ma storicamente un'ispirazione eroica per noi tutti. Sono sopravvissuti per quattro anni quasi completamente da soli, fino all'entrata della Russia, per combattere gli USA, la UE, combattenti terroristi di Israele che cercavano di guadagnare terreno sul territorio controllato dal governo siriano. La campagna della Russia è stata esemplare, quel che ne è risultato, al momento di scrivere queste righe, è stato un capovolgimento totale della situazione a svantaggio degli aggressori. Molti tessono a buon diritto le lodi dell'eroico esercito arabo siriano e dei suoi alleati russi, iraniani e di Hezbollah; tuttavia, ho sempre detto che questo ottimismo è fuori luogo, perché le forze che dirigono realmente il mondo occidentale non possono permettere in nessun modo che la Siria rinasca dalle sue ceneri.
Una Siria ricostruita che controlla la sua banca centrale e può emettere la propria moneta di cui ha bisogno, senza controllo esterno, né nessun debito con l'FMI o chiunque altro ( libertà più elementari e più essenziali che i paesi occidentali nella maggior parte non hanno più conosciuto da almeno un secolo.), che potrebbe, attraverso questo, essere in grado di offrire ai suoi cittadini (come ha fatto anche durante la guerra), l'istruzione gratuita fino alle scuole superiori, l'assistenza sanitaria e i servizi pubblici a costi estremamente bassi o gratuiti, QUESTA Siria è un anatema assoluto per i VERI leader del mondo occidentale. Il fatto che i diversi rami dell'Islam e in particolare il fatto che molti cristiani ortodossi in Siria vivano in pace tra loro, brucia la riserva frazionaria occidentale e la schiavitù del debito da parte delle élite bancarie come l'acqua benedetta brucia un vampiro.
I neo-conservatori, vale a dire le persone che dirigono di fatto lo Stato profondo americano, sono l'inferno rivolto al dominio totale del mondo e riescono attraverso il controllo delle banche centrali di ciascun paese e della loro libertà di emettere la propria moneta secondo il loro bisogno, ed una guerra spietata di cultura attraverso un'educazione per un livello culturale costantemente al ribasso con l'aiuto dei principali media.
In soli trent'anni, sono riusciti a trasformare l'occidentale medio in uno zombie la cui "comprensione" del mondo è fondata interamente su delle menzogne e spesso sul capovolgimento totale della realtà, dove la sua possibilità di pensare, di ragionare obiettivamente, la capacità di rappresentare se stesso correttamente e collocarsi nella storia, sono stati ridotti quasi a zero.
Un risorgente Siria sarà un fulgido esempio per il mondo, di come la vita potrebbe essere senza il pugno di ferro dei neocon sulla massa monetaria, sul sistema educativo, sui media, sport, arte e tutto il resto. Rinata, la Siria sarà un blocco di fronte al tanto propagandato "grande Israele" e ai piani occidentali per i gasdotti/oleodotti provenienti dal Qatar verso l'Europa (che potrebbe essere oppure no, visto le ultime vicende che riguardano il Qatar al momento). Infine e soprattutto, c'è il fatto che la sopravvivenza della Siria sarà uno dei principali ostacoli al progetto per il quale l'obiettivo finale è di sottomettere, conquistare e smembrare la Russia, che naturalmente è il primo motivo per il quale la Russia è venuta in aiuto della Siria! Questo è il motivo per cui non accetteranno, e dal loro punto di vista satanico non potranno accettare che la Russia consenta alla Siria di sopravvivere!
Al momento di scrivere queste righe (sera del 26 giugno in Europa) rapporti coordinati sono diffusi negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Francia, secondo i quali un "altro" attacco chimico contro il popolo siriano e "bambini innocenti" da parte del proprio governo e dal suo presidente è in preparazione e atteso da un momento all'altro e per il quale l'Occidente farà "pagare un prezzo molto pesante" al presidente Assad e al suo esercito "quando o forse ancor prima che questo avvenga." (attacco preventivo).
Ora, ovunque nel mondo, tutte le persone sane di mente, informate e sveglie sanno che il governo siriano non ha mai usato armi chimiche contro nessuno e mai lo farà. Sappiamo che questo non è mai avvenuto e che queste menzogne occidentali hanno il solo scopo di portare l'opinione pubblica ad accettare un'altra distruzione occidentale di umanità e di libera cultura, come con la Jugoslavia, l'Iraq, la Libia e ora la Siria, permettendo loro (i potentati sovranazionali, ndt) di avvicinarsi sempre di più al dominio assoluto di tutto il mondo e la riduzione in schiavitù di ogni anima umana. Quindi, quello che vediamo qui è un altro tentativo di utilizzare la stessa vecchia menzogna usata per giustificare un'azione occidentale per un cambiamento di regime, seguita dalla distruzione della Siria laica e civile.
Qualsiasi grande attacco occidentale o israeliano contro la Siria metterebbe la Russia in una situazione difficile, ed è precisamente questa la ragione per la quale alcune delle teste più calde dei capi delle élite occidentali potrebbero semplicemente decidere di correre il rischio.
Il governo russo ed il suo popolo non vogliono assolutamente una guerra e la Russia ha mostrato a più riprese le sue capacità di restare molto "zen" (calma ponderata, ndt) per disinnescare tutte le provocazioni aggressive che l'occidente ha fino qui tramato contro di lei, in Ucraina come in Siria. Non è necessario essere un analista militare o geopolitico per vedere che se la Russia resiste e risponde militarmente, questo potrebbe essere un rischio per un'escalation che condurrebbe direttamente alla terza guerra mondiale. Ciò è qualcosa che la Russia vuole evitare quasi a qualsiasi prezzo, ma se la situazione dovesse diventare esistenziale, sarebbe tutta un'altra cosa e, come molti hanno già commentato, i Russi sono informati e sono pronti a un punto tale che non si può dire in alcun modo delle popolazioni occidentali. La campagna di Russia in Siria ha portato ad un numero molto basso di vittime fino ad ora, ma ad un profilo molto alto. Tutti i morti, uomini e donne, del personale di servizio russo in Siria (tranne agenti segreti, si può supporre) sono stati resi noti ai media. Tutti sono stati sentiti come una grande perdita, ma alcuni di loro hanno causato particolare commozione. Il giovane soldato in ricognizione in una situazione disperata, circondato dai jihadisti dell'ISIS, per evitare di essere catturato e per garantire che tutti i terroristi fossero uccisi ha richiesto un attacco missilistico sulla sua posizione: cosa che è stata fatta. Il pilota che è stato colpito da un caccia turco e poi mitragliato dai terroristi appoggiati dall'Occidente mentre era sospeso in aria impotente, con il suo paracadute. Tutta la Russia ha visto le sue gambe scuotersi sotto i colpi dei proiettili. Sarebbe molto difficile, se non impossibile, immaginare che per l'opinione pubblica russa, l'eroismo e il sacrificio di questi soldati siano stati tutti vani; equivarrebbe a dire che la Russia dovrebbe lasciare che l'Occidente e Israele rovescino il legittimo governo siriano, consegnare il Paese ai terroristi islamici e dei loro padroni, e poi tornarsene a casa con la coda tra le gambe per iniziare a rinforzare i propri confini.
Il governo russo ha sempre detto che era in Siria per sconfiggere i terroristi piuttosto che esservi per "sostenere" il regime di Assad, come i media occidentali amano ripetere. Dei sondaggi recenti dicono che se ci fosse un'elezione domani in Siria, Assad si avvicinerebbe al novanta per cento dei consensi, ed è un fatto che se partisse i terroristi vincerebbero. Un FATTO che è compreso perfettamente a Washington, Londra, Parigi, Tel Aviv, che a Damasco, Mosca, Teheran e Pechino. Se questo accadesse, la prossima tappa sarebbe l'Iran!
Se l'Occidente si impegnasse in un attacco globale per il cambiamento di regime in Siria e se la Russia dovesse decidere che un suo ritiro dalla Siria servirebbe meglio i suoi interessi a lungo termine, ciò potrebbe essere ancora più destabilizzante per l'unità interna della Russia di tutto quello che l'Occidente ha già intrapreso contro di essa finora. L'uso da parte dell'Occidente di quelli che vengono definiti "liberali" e dei "dissidenti adoratori dei Clinton e finanziati da Soros" per perseguire un cambio di regime in Russia ha clamorosamente fallito. Tuttavia, se ci fosse nel Paese un movimento dubbioso riguardo alla presidenza di Vladimir Putin, sarebbe tra coloro che si sentono frustrati per il suo modo di restare "Zen" di fronte all'Occidente, e che vorrebbero vedere una risposta più completa e più vigorosa contro l'aggressione occidentale attorno alle sue frontiere e a protezione degli interessi della Russia nel mondo. Queste persone non digerirebbero una disfatta russa, o un ritiro dalla Siria, e le tensioni interne salirebbero sicuramente più di ciò che è stato a tutt'oggi. Non invidio certamente il presidente Putin e i suoi ministri e consiglieri, se dovessero valutare una tale scelta. È sicuro! Una replica ferma e decisa all'aggressione occidentale potrebbe spingere l'Occidente a rinunciare, poiché su questa decisione (un'escalation ndt) esso è in preda a uno smarrimento più grande che la Russia o che la stessa Siria. D'altra parte, l'Occidente potrebbe forse non arretrare, ed allora che cosa accadrebbe?
Preghiamo affinché una tale decisione non debba essere presa. Che quelle persone non neocon del Pentagono e nell'amministrazione americana siano in grado di contrastare questa ridicola messinscena sotto falsa bandiera. A meno che, come notato da Alexander Mercouris, questo assomigli a una manipolazione pesante per distrarre l'opinione pubblica dall'articolo devastante di Seymour Hersh che ha rivelato come la falsa bandiera dell'ultimo attacco chimico era una menzogna totale!
Le prossime ore e i prossimi giorni saranno cruciali! Qualcuno ha scritto di recente e cerco di parafrasare perché non riesco a trovare l'originale: “Il desiderio neocon per il dominio del mondo li ha "zombificati" a tal punto che essi non possono fermarsi a metà strada. Fino a quando qualcuno spari loro un colpo in testa, continueranno ad andare avanti!”
  Marcus Godwyn è un musicista inglese e un saggista amatoriale.

venerdì 7 luglio 2017

Tutto il mondo occidentale arma i terroristi in Siria

 Traduzione da Sputniknews a cura di OraproSiria 

Il Centro Russo per la riconciliazione dei belligeranti in Siria ha prove inconfutabili che i terroristi dello Stato islamico (Daesh) e al-Nusra (Al Qaeda), gruppi vietati in Russia, stanno utilizzando armi occidentali.

Il Centro ha trasmesso, inoltre, immagini di parti di munizioni con relativi numeri di serie. I percorsi di instradamento delle armi nella zona del conflitto stanno per essere identificati.

Il possesso da parte dei terroristi di moderni fucili di precisione che hanno già causato la morte di soldati russi ( non accaduto in precedenza) è di particolare preoccupazione. Ad esempio: il colonnello Alexeï Boutchelnikov, consigliere militare russo, è stato colpito da un cecchino lontano dalla linea di fronte, su un poligono delle retrovie dove egli addestrava i soldati di Bashar al-Assad per l'uso dell'artiglieria in condizioni notturne. Si è scoperto che il cecchino ha mirato e sparato nella più completa oscurità a parecchie centinaia di metri di distanza, ma anche così è riuscito a individuare l'istruttore russo fra i militari siriani e a ucciderlo con un solo proiettile. Gli specialisti sono convinti che un simile risultato è impossibile senza un'apparecchiatura di precisione avanzata.
I terroristi già da lungo tempo usano diversi fucili di precisione, specialmente quelli a disposizione delle forze della NATO, come il Remington MSR americano o l'austriaco Steyr Mannlicher SSG 08. Gli esperti dicono che queste armi devono essere utilizzate con i più sofisticati occhiali da tiro dotati di dispositivi di visione notturna. È risaputo che questi occhiali con visore notturno di terza generazione, sono fabbricati solo negli USA e in Russia, dal momento che altri paesi non possono permettersi di produrli a motivo della loro complessa tecnologia e del loro costo elevato.

Far uscire questi occhiali per riprese notturne di 3ª generazione fuori dal territorio è proibito sia negli U.S.A. che in Russia. Ecco perché gli esperti russi sono rimasti molto sorpresi di scoprire dentro a questi visori di costruzione occidentale, presi ai terroristi, dei componenti elettronici di origine russa, tra cui i trasformatori optoelettronici. Secondo una delle versioni, questi componenti potrebbero arrivare in Siria attraverso paesi terzi, ai quali la Russia fornisce ufficialmente gli occhiali o pezzi per equipaggiarli. Il fuoco dei cecchini in Siria ha fatto almeno quattro morti tra i militari russi, tra i quali il soldato di fanteria Alexandre Pozynitch, che partecipava nel novembre 2015 alle ricerche e alla spedizione di recupero in elicottero del corpo del pilota abbattuto Oleg Peshkov, eroe della Russia.
Un'inchiesta è in corso relativa ai canali di fuoriuscita di tecnologia sensibile russa a favore dei terroristi. Prima o poi, saranno bloccati. Ma è improbabile che ciò possa influenzare l'arsenale di Daesh e di Al-Nusra, che sono armati praticamente da quasi tutto il mondo occidentale.

Il 15 giugno, un rapporto delle Nazioni Unite ha denunciato che le autorità israeliane hanno finanziato e armato regolarmente terroristi che combattono contro il governo legittimo siriano e l'esercito arabo siriano sulle alture del Golan. Ma il traffico più intenso di armi agli islamisti è partito dalla Bulgaria. Sappiamo che 15 servizi speciali occidentali, tra cui Americani, Inglesi, Francesi e Paesi del Golfo, ha partecipato all'organizzazione del "traffico bulgaro".

I giornalisti bulgari sono riusciti a rintracciare il principale mezzo di trasporto per la fornitura di armi allo Stato islamico e ad Al-Nusra: è la nave Marianne Danica, battente bandiera danese. La sorveglianza via satellite ha dimostrato che fino a poco tempo fa la Marianne Danica faceva due viaggi al mese dal porto bulgaro di Burgas al porto di Jeddah, sulla costa saudita.

giovedì 6 luglio 2017

Astana: Mons. Abou Khazen "ogni occasione di incontro è sempre un elemento positivo”


Asia News, 5 luglio 2017

Ogni occasione di incontro, confronto, dialogo è sempre un fattore positivo e deve indurre all’ottimismo, anche se la situazione sul terreno non è facile e permane una sensazione diffusa di incertezza per l’avvenire. È quanto racconta ad AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, commentando il secondo giorno di colloqui di pace bilaterali in programma ad Astana (Kazakhstan) sulla Siria, patrocinati da Russia, Turchia e Iran. “La speranza - aggiunge - resta sempre quella di arrivare a un cessate il fuoco permanente, che favorirebbe il ritorno degli sfollati e una ripresa delle attività economiche e commerciali”, fattori chiave per far ripartire il Paese. 
Ad Astana si è aperto il quinto incontro internazionale sulla Siria, con l’obiettivo di rafforzare la “fragile” tregua nazionale in vigore dal dicembre scorso; una due giorni di trattative, che registra la presenza di delegati del governo siriano e rappresentanti delle opposizioni armate. La mediazione messa in campo da Teheran, Mosca e Ankara (su fronti opposti nel conflitto) si affianca agli sforzi diplomatici promossi dalle Nazioni Unite a Ginevra (Svizzera), i quali però non hanno sortito sinora effetti duraturi. 
In passato gli incontri di Astana, durante i quali per la prima volta si sono seduti allo stesso tavolo leader di Damasco e fronte dei ribelli, si sono rivelati più decisivi rispetto ai colloqui patrocinati dall’Onu. All’ultimo appuntamento, nel maggio scorso, si è giunti alla creazione di  zone di “de-escalation” del conflitto che prevedevano il cessate il fuoco, il divieto di sorvolo dell’area, il rifornimento immediato di aiuti umanitari e il ritorno dei rifugiati.
L’obiettivo della due giorni, cui gli Stati Uniti partecipano nel ruolo di osservatori, che si conclude oggi è definire i confini esatti delle quattro aree cuscinetto e le procedure per verificare il rispetto della tregua. A due mesi di distanza dalla firma, resta dunque prioritario definire le zone di de-escalation che riguardano alcuni territori ribelli nella provincia di Idlib, un settore del governatorato centrale di Homs, una enclave ribelle a Ghouta e il settore meridionale del Paese, al cui interno vivono fino a 2,5 milioni di persone. 
All’interno della delegazione anti-Assad, in cui spicca l’assenza del capo negoziatore Mohammad Allouche, si registra un clima di diffuso scetticismo. L’idea è che la Russia voglia promuovere queste discussioni, per “distogliere” l’attenzione generale sui “bombardamenti, sfollamento di civili e ripetute aggressioni” che sta conducendo nel Paese. Dal canto suo, il governo siriano ha dichiarato che non permetterà ai propri nemici di “beneficiare” della formazione di zone cuscinetto nell’ovest per ottenere progressi sul piano militare. 
Un quadro complesso, in cui la diplomazia regionale e internazionale si muove con estrema lentezza e fatica. 
“Dal punto di vista della sicurezza - racconta mons.  Abou Khazen - la situazione in diverse zone, fra cui Aleppo, è migliorata. Manca ancora l’elettricità, ma è tornata l’acqua e la vita riprende a scorrere. Certo, la mancanza di giovani e uomini perché emigrati o richiamati fra i riservisti dell’esercito si fa sentire, in particolare nell’opera di ricostruzione. Ma noi pastori incoraggiamo le persone a rimanere e cerchiamo di aiutarle contribuendo ai fabbisogni delle famiglie, dei loro bambini”. 
Interpellato sui colloqui di Astana, il vicario apostolico vuole essere “ottimista”, anche se “non possiamo essere sicuri che vi sia una davvero una soluzione all’orizzonte, vediamo ciò che succederà”. “Ogni incontro, ogni occasione di dialogo - prosegue - è importante e la speranza è che possa condurre a un cessate il fuoco permanente. Questi colloqui hanno favorito in molte zone la riconciliazione interna, basti pensare che da 500 si è passati a 1300 cittadine in cui i fronti in lotta hanno deposto le armi e rifiutato la guerra come mezzo per risolvere le controversie. Spero possano essere il viatico per una riconciliazione di livello nazionale”. 
In questi villaggi e cittadine, racconta il prelato, le persone “hanno ricominciato a coltivare la terra, a riaprire le scuole, a riprendere le attività. Si parla poi di oltre mezzo milione di sfollati fuggiti in passato e oggi rientrati nelle loro terre di origine, nell’area di frontiera vicino al Libano e nelle zone centrali di Homs e Hama e lungo alcuni tratti dell’Eufrate. Sono un numero significativo, che incoraggia e potrebbe incentivare altri a tornare”. “Questo - conclude - è il primo risultato tangibile dei colloqui e l’attuazione delle zone cuscinetto mi auguro possa dare una ulteriore accelerazione a questo processo”.  
http://www.asianews.it/notizie-it/Vicario-di-Aleppo:-su-Astana-pi%C3%B9-ottimismo-che-incertezza,-favorire-il-rientro-degli-sfollati-41203.html

domenica 2 luglio 2017

Fra Firas: ciò che resta è la carità

Nella guerra in Siria la Russia non è solo una presenza politica e militare, ci sono anche legami nati dalla comune radice cristiana. J.F. Thiry è andato da Mosca a Damasco per offrire l’esperienza di un lavoro culturale che aiuti a ricostruire l’uomo.
La Nuova Europa, 26 giugno
Nella ventina di progetti che i francescani di Aleppo stanno seguendo per riportare speranza e dignità in questa città siriana, divenuta simbolo della «terza guerra mondiale», c’è anche quello di usare la cultura per ricostruire ponti. Ne ha parlato padre Firas Lutfi, superiore del collegio di Terra Santa e vice-parroco di San Francesco ad Aleppo, nell'intervista rilasciata a Jean-François Thiry.
 
Qual è la situazione attuale ad Aleppo?
A partire dal 22 dicembre scorso la città sta vivendo una rinascita. Durante gli ultimi cinque anni abbiamo sentito solo il sibilo e lo scoppio delle bombe. Uno scenario di pianto, sangue, innocenti uccisi barbaramente da entrambe le parti, sia nella parte controllata dal regime sia nella cosiddetta zona orientale. Il 22 dicembre con la mediazione russa è stato raggiunto un accordo tra l'esercito siriano e le varie fazioni di jihadisti. Alcuni hanno deposto le armi e sono rientrati nella società civile, altri hanno deciso di continuare a combattere. Dunque il 22 dicembre ha segnato un nuovo inizio per questa città martire, la più colpita, che ha portato su di sé il peso della guerra. Certo, qui la battaglia è finita, ma non la guerra che si continua a combattere nel resto della Siria, a Raqqa, Idlib, nel Nord… I segni visibili della guerra sono scomparsi, riusciamo a dormire più tranquillamente, dopo notti e notti di allerta e paura!
Ma è una città in ginocchio: non dimenticherò mai l'impatto che ho avuto attraversando la cittadella, sembrava la Berlino della Seconda guerra mondiale, una distruzione totale… Ora i media occidentali non parlano più di Aleppo, come se tutto fosse tornato alla normalità. È vero che la battaglia non c'è più, ma si continua a combattere in periferia e altrove, e alla fine il dramma della guerra ricade ancora qui. Continua la carenza d'acqua, sarebbe necessario ripristinare le infrastrutture, anche se i momenti duri in cui uno doveva stare per ore ad attingere un po' d'acqua sono passati.
 
E dal punto di vista umano? Sta rinascendo una speranza? Qual è il lavoro principale da fare?
Il lavoro principale è ritrovare l'uomo. Tante ferite – come quelle sugli edifici – sono ben visibili, ma quelle che hanno segnato in profondità l'animo di ogni cittadino, sia di Aleppo Est che di Aleppo Ovest, sono sentite in modo particolare dai bambini e dagli anziani. Ci sono migliaia di anziani abbandonati dalle famiglie giovani che hanno dovuto scappare, e io personalmente lavoro nel recupero dei traumi post-bellici nei giovani. Mi sto occupando ad esempio di alcune ragazze sui 13-14 anni che hanno tentato il suicidio: c'è chi non riesce a dimenticare il momento in cui una bomba ha ucciso una compagna di scuola, chi ha perso i genitori e si trova nella preoccupazione costante di vivere da sola… Questi disturbi sono il frutto di una violenza enorme che hanno assorbito come una spugna, perciò l'animo di questi poveretti è tutto da ricostruire. Sicuramente c'è da ricostruire la struttura di una città antichissima, ma prima di tutto c'è da ricostruire l'essere umano che è stato ferito e danneggiato.
 E la vostra parrocchia come interviene?
La parrocchia prosegue quel che aveva iniziato a fare all'inizio della guerra, ad esempio distribuisce pacchi alimentari – l'emergenza non è cessata, siamo ancora in una fase di passaggio. Oppure cerchiamo di assistere le coppie giovani, perché la presenza cristiana prima era di 150mila fedeli, ora siamo rimasti solo 30mila, quindi c'è stato un calo demografico enorme, ecco perché va sostenuto il dono della vita. Seguiamo circa 800 coppie, di tutti i riti, non solo della nostra parrocchia.
La guerra, per terribile che sia, ha facilitato un contesto di solidarietà, di partecipazione, di carità, aperta ai fratelli nella fede e a tutti. Sosteniamo anche la ristrutturazione delle abitazioni, in modo che le famiglie non se ne vadano: il nostro obiettivo è anzitutto quello di aiutare i cristiani a rimanere, a non cedere alla forte tentazione di andarsene. È chiaro che il governo non riesce a coprire le esigenze e le aspettative dei cittadini, per cui la Chiesa sta supplendo anche al ruolo delle istituzioni: ce la mettiamo tutta a sostenere questa scintilla di speranza.
 Tutto ciò rientra nell'«ecumenismo del sangue»?
Sì, questa espressione l'ha usata papa Francesco quando si è incontrato con il patriarca di Costantinopoli, un bellissimo incontro che sintetizza cosa significa essere fratelli, e non solo della stessa famiglia. Il papa intende dire che quando uno jihadista sta per ucciderti non ti chiede se sei ortodosso, cattolico o protestante, ma se sei cristiano. Anche recentemente in Egitto: agli ostaggi gli jihadisti chiedevano di rinnegare la fede cristiana, non se fossero copti o protestanti… Ecco, molti innocenti sono martiri per Cristo.
Era una sensibilità già presente qui. Poi, durante la guerra, nel momento di assoluto bisogno, noi come comunità cattolica abbiamo avuto il vantaggio di avere fratelli sparsi in tutto il mondo, siamo parte della Chiesa universale, sentiamo la vicinanza dei nostri benefattori. I superiori del nostro Ordine francescano hanno lanciato l'appello già all'inizio della guerra, e l'aiuto che ci arriva lo condividiamo con i nostri fratelli, un po' come è descritto negli Atti degli apostoli.
 A Lei, come ai tanti che ancora se ne vanno, non è mai venuta la tentazione di dire «non ce la faccio»? Che cosa permette di ricominciare ogni giorno, di fronte a un lavoro così enorme?
Una volta un giornalista mi ha chiesto: Perché resti lì? Gli ho risposto: non «perché» ma «per Chi». E non è solo il mio caso, lo vedo anche nei miei confratelli. «Per Chi». Credo che abbiamo sperimentato la mano del Signore anche in mezzo al buio totale, a questo tunnel di cui non si vedeva l'uscita.
Una ragazza in confessione mi ha chiesto: ma perché Dio permette questo male, se è il Dio della bontà e della misericordia? E un'anziana: dove sono i nostri fratelli sparsi nel mondo? Perché non si muovono? Alla prima domanda mi è venuto in mente un crocifisso che abbiamo trovato in un quartiere di Aleppo completamente distrutto, era rimasto appeso senza braccia, qualcuno gli aveva anche sparato in faccia… Ecco, i segni di sofferenza ci sono, ma Lui è ancora lì, è lì «appeso», presente. È un Dio che sa condividere, che già duemila anni fa ha offerto fisicamente la vita per amore, e lo continua a fare. Qui ora siamo a Damasco, famosa per l'episodio collegato alla conversione di san Paolo. «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?», chiede Gesù – e Saulo, poveretto: ma chi sei? E lui risponde: sono Gesù che tu perseguiti. Era già morto e risorto, e si riferiva al Suo corpo mistico sofferente. Dio è fortemente presente accanto a chi soffre e piange.
Dove sono i nostri fratelli? Siamo dei testimoni perché facciamo da ponte, nel corpo soffriamo con chi soffre, gioiamo e diamo speranza a chi l'ha persa. Però sappiamo che dall'altra parte del continente ci sono molti amici che pregano per noi, ci sostengono fortemente in questa unità di preghiera, siamo corpo di Cristo, membra gli uni degli altri. Certo, anche il sostegno economico è indispensabile per sostenere questa speranza. Non posso limitarmi a consolare un povero dicendo: beh, io non ho niente da darti, ma intanto preghiamo insieme… No: qualcosa ce l'abbiamo, ed è un dono di Dio e dei fratelli.
 
Cosa ritiene che l'Europa, o la Russia, possano fare?
Il primo dono che ogni siriano desidera è la pace. Se soffriamo è per la guerra. Qualcuno, con la violenza, ha cercato di dividere la società che era già diversificata, era un mosaico di etnie, confessioni e culture. Qualcuno ha gettato benzina sul fuoco della divisione, per questo il primo dono che desideriamo è la pace.
La Russia può e dovrebbe – non da sola – trovare modi per far sì che si ponga fine a questa guerra che non è semplicemente una guerra civile, perché non sono solo i siriani che combattono fra di loro, ma esistono tante fazioni con un altissimo numero di mercenari stranieri che combattono per interesse. La Russia, l'America, non dovrebbero guardare alla Siria solo considerando i propri interessi, ma aiutare il paese a ottenere la stabilità, e un segno concreto sarebbe la rimozione dell'embargo economico. La guerra in Siria è la più terribile del XXI secolo, molto complessa, anche perché legata all'Iraq, alla Libia, all'intero Medio Oriente.
Noi come francescani in Siria costruiamo la pace ogni giorno, con gesti apparentemente insignificanti. All'istituto di teologia per laici, di cui sono direttore, vengono ortodossi, cattolici… Sono responsabile di una realtà bellissima, perché varia, e lì sperimento come si può costruire la pace, mettendo assieme piccoli mattoni.
Lo so, dopo le nostre testimonianze in Occidente, ci chiedono: concretamente, cosa possiamo fare? L'invito primo e più efficace è l'unità spirituale, la preghiera, perché siamo veramente il Corpo mistico, come scrive san Paolo ai Corinzi: se un membro soffre, tutti gli altri soffrono con lui. In questo momento le membra di Cristo sofferenti patiscono in Siria tantissimo. D'altra parte è altrettanto importante la carità concreta, visibile. La carità nel Vangelo è stata sempre concreta: nessuno ha un amore più grande di chi dà la propria vita. L'amore allora non è solo sentimento ma la vicinanza concreta al prossimo, una piccola somma, qualche piccolo sacrificio: quanti amici hanno rinunciato ai doni del matrimonio per aiutare la Siria! Ultimamente un amico vescovo appena ordinato in Germania mi ha detto: le offerte della messa di ordinazione verranno inviate per sostenere il progetto di assistenza psicologica ai bambini.
Mi viene in mente madre Teresa, che era un'esperta nell'aiutare i poveri, e diceva che ogni gesto di bene che si fa è una goccia nell'oceano, e che l'oceano non sarebbe lo stesso senza questa goccia.
Tutto ciò aiuta a dare speranza, a dare le ragioni per rimanere e continuare la presenza dei cristiani. Un travaglio come questo genera una cristianità più purificata e motivata. Se il Signore ci ha voluti lì è perché c'è una missione, dobbiamo portare sempre l'amore di Cristo verso ogni persona, essere dei ponti di riconciliazione e dialogo. Penso a tutto il Medio Oriente con le sue religioni monoteiste, dove i cristiani fanno da ponte perché hanno una parola magica… poco conosciuta dalle altre: il perdono! Siamo portatori di pace, carità, servizio, e durante la guerra ci siamo resi conto che questa carità visibile e umile riesce a conquistare l'altro. Non facciamo proselitismo, ma la carità resta impressa nel cuore. Mi ha raccontato un musulmano russo, venuto in visita dalla madre ad Aleppo, che lei era così contenta quando gli ha mostrato una coperta donatale dai cristiani, e le scarpe distribuite dalla Caritas. Mi ha detto: Quello che fate rimarrà sempre impresso nella memoria. È quello che scriveva san Paolo: la carità è ciò che resta.
 
E come è possibile fare un'offerta, dare un aiuto concreto?
Tramite il 
fondo ATS .